Olimpiadi di Londra: tra delusioni ed emozioni

Dedico sempre un post per commentare le Olimpiadi. (QUI e QUI quello di Pechino 2008, QUI quelle invernali a Vancouver nel 2010), dunque eccoci qua ad una settimana dalla chiusura ufficiale dei Giochi.

Fatti deludenti:

– la medaglia d’oro a Pechino Alex Schwazer e la sua rovinosa caduta, intrisa della fatica di chi non aveva più passione e di chi, forse, aveva toccato con mano quanto sottile fosse il confine tra legalità e illegalità nel mondo dello sport. Ho apprezzato molto l’uomo che affronta con franchezza la sua caduta, sono rimasto deluso per l’atleta che ci aveva fatto sognare 4 anni fa in una disciplina che io stesso ho affrontato per alcuni anni e che so veramente essere dura e faticosa.

i giudici di parte. Non che i giudici britannici siano stati più di parte di quanto non lo fossero stati quelli ateniesi 8 anni fa (quante medaglie hanno vinto quest’anno i greci !?!) o quelli cinesi 4 anni fa. I giudici di casa si rivelano costantemente di parte e facilmente influenzabili dal pubblico. E così se ad Atene il grande Jury Chechi  fu solo bronzo e se a Pechino  Matteo Morandi subì una sorte analoga,  quest’anno è Cammarelle a pagare dazio. Immeritatamente, perchè il supermassimo Cammarelle non lo ferma nessuno da 4 anni a questa parte. E potremmo anche aggiungerci il quarto posto di  Alberto Busnari al Cavallo con maniglie: anch’egli scavalcato immeritatamente da un britannico…

Fatti emozionanti:
– Le gare di Atletica, in particolare quelle di corsa e quest’anno le STAFFETTE su tutte. E’ sempre stata una gara molto particolare, che unisce all’abilità individuale anche una tattica di squadra. Ricordo 4 anni fa dei cambi disastrosi da parte anche di Nazioni titolate… evidentemente la cosa fu di lezione per molti e quest’anno sono stati segnati i due nuovi record mondiali, femminile e maschile.

 – TORNEI A SQUADRE, pallavolo e pallanuoto su tutti, con le nostre Nazionali protagoniste. Devo dire che soprattutto il Volley ha avuto una capacità di coinvolgimento molto alta, grazie anche ad un allenatore, Mauro Berruto, che ha saputo trasmettere una grinta e una carica che hanno dato una valore in più alla nostra squadra. Bravi ragazzi!

– Gare sempre belle da vedere, come quella dell’intramontabile Josefa Idem (quest’anno quinta… ma alla sua età è come se fosse un oro! Oro alla carriera!), oppure che sanno dell’impresa, come quella del bronzo Marco Aurelio Fontana a cui, c’è da scommetterci, continueranno a regalare selle per biciclette ad ogni festa che si presenti…

– Gare di TIRO e di SCHERMA molto avvincenti. Diciamocelo: spesso pensiamo agli atleti come dei super-eroi. Inarrivabili (sempre che non siano invece dei dopati…). Gente super muscolosa e che passa la vita sui campi e nelle palestre. Poi arrivano atleti dalla corporatura decisamente più “umana”, magari pure un po’ di ciccia, un look di certo non da ballerina o alla moda, nessun costume aderente e neppure dichiarazioni che cavalcano gossip e altro. Parlo di un Marco Galiazzo, di un Niccolò Campriani, di un Massimo Fabrizi i cui ultimi tiri per lo spareggio sono stati vissuti col cuore in gola, di una Jessica Rossi  capace pure di fare il record mondiale e degli altri tiratori della squadra italiana  e poi le ragazze di Jesi eroine del fioretto… Nella loro passione, nella loro umanità, nel loro sorriso semplice, nella loro grido di gioia, nella lor concentrazione senza schiamazzi preparatori: lì vedo il volto del vero campione!

Riti, gesti scaramantici: c’è qualcosa di più nei leader

Avete mai visto la danza degli All-Blacks di Rugby? Credo di sì. Ormai è diventata famosissima. E’ senz’altro un rito, un modo per caricare la squadra, per darle unità, compattezza e un quid in più. Una specie di consapevolezza di essere “i migliori”.

E’ un po’ lo stesso meccanismo che avviene negli scontri epici, quando i comandanti delle battaglie, i leader, gli eroi che poi rivediamo anche nei film più famosi, pronunciano un discorso per “caricare” i propri uomini e far gonfiare i loro cuori… “Sia questo il momento in cui sguainiamo insieme le spade…” , “Facciamo risuonare il nostro corno in tutta la vallata…” , “Possa l’alba di questo giorno conoscere la nostra gloria…”

Ma torniamo al campo sportivo. A seguito della bella vittoria della Sampdoria in Coppa Uefa nella roccaforte di Belgrado (cliccare qui per tabellino e pagelle), ecco un articolo di Paolo Giampieri (il Secolo XIX) che rivela qualche retroscena e racconta di un Antonio Cassano nella veste di leader, vero leader.

Leggetevelo, è veramente bello e tutto da gustare.

Andrea Macco

 

QUELLI CHE VINCONO PRIMA DI INZIARE.

«Fu allora che “el Negro”, Obdulio Varela, si alzò dal suo posto…». La letteratura dei gesti di sfida clamorosi e vincenti non è molto abbondante. A raccontare la storia dell’uruguaiano Varela che, nel 1950, con il suo coraggio sconfisse il Brasile al Maracanà nella finale di Coppa del mondo, ha pensato la penna magica di Osvaldo Soriano; addirittura un video (consigliato a chi ama il calcio, la danza, il bello, http:// it.truveo.com/Maradona-riscaldamento-con-il-Napoli/id/964227603) ricorda quando Maradona iniziò a vincere la partita (e quindi la Coppa Uefa) sul campo dello Stoccarda; cronache di quotidiani sportivi riportarono la sana strafottenza di Pietro Vierchowod che, con la maglia della Sampdoria, prima dell’inizio della partita di Coppa dei Campioni, salutò la feroce curva della Stella Rossa, nella famosa battaglia di Sofia; il Cassano leader senza paura è storia dell’altro ieri.

Breve riassunto serbo. Lo stadio dei partigiani, annunciato caldo, è caldo davvero. Sono in trentamila a cantare; soprattutto, la curva è scatenata. Quando la Sampdoria scende in campo per il riscaldamento, i fischi diventano assordanti. Cassano viene fatto presto bersaglio: «Cassano vaffa…» e «Cassano figlio di…», italiano basico ma efficace. Sulle prime Fantantonio ha ignorato. Quindi, ha reagito. Sguardo rivolto verso la curva, fisso, sorriso appena abbozzato ma chiaro, una pettinata ai capelli. Il primo e più esplicito messaggio è chiaro: non mi fate paura, non mi intimorite per niente. Ma è più importante il secondo messaggio, sottinteso, e rivolto ai compagni: state tranquilli, seguitemi, tra poco si va in campo e staranno a vedere.

A Belgrado Cassano era capitano. Come Maradona a Stoccarda, come Varela al Maracanà. Quel 16 luglio del 1950 tutto il mondo aveva già dato per scontato l’esito di Brasile-Uruguay. Circa centocinquantamila persone affollavano l’enorme stadio, urlando la propria passione per i verdeoro che parevano proprio imbattibili. Negli spogliatoi, l’Uruguay si prepara alla gara con rassegnazione. I dirigenti della squadra hanno chiesto ai ragazzi di “perdere por cuatro goles, no mas”, quattro gol, non di più. I giocatori, anche il celebre Schiaffino, hanno gli occhi bassi. «E fu allora che “el Negro” si alzò dal suo posto…». Varela si alzò dal suo posto indossò la camiseta celeste che aderì perfettamente al torace e, all’altezza del cuore, apparì il sole uruguaiano con le due spighe. Poi prese la fascia e vi infilò dentro il braccio. Adesso era il capitano, e disse: «Quelli fuori non contano». L’Uruguay vinse la partita, passata alla storia come il “maracanazo”, per il Brasile fu quasi una tragedia. Obdulio Varela non si vantò mai di quanto fatto. Le poche volte che parlava di quello che era successo quel giorno, diceva: «Gli abbiamo rovinato la festa, non ne avevamo il diritto e, se rigiocassimo cento volte, perderemmo tutte e cento».

I tempi sono cambiati, la sfida dello zar, di Maradona e di Cassano oggi prende forma durante il riscaldamento. Diego entra sul prato di Stoccarda e iniziano a bombardarlo di fischi. Gli altoparlanti sparano “Life is life” degli Opus. Musica molto ritmata, fa al caso suo. Maradona inizia a ballare. Poi prende la palla e palleggia ballando: piede, coscia, testa, spalla, una roba incredibile, la palla non cade mai a terra. Il Pibe de Oro, che in quel periodo è pure un po’ sovrappeso, la ferma sul collo del piede, sulla testa. E danza, danza. Il rumore dei fischi scema, lo stadio si fa zitto, preoccupato, gli avversari lo guardano con la coda dell’occhio. Maradona ha già iniziato a vincere. Finirà 3-3, in virtù della vittoria dell’andata, per il Napoli sarà Coppa Uefa.

Perché il problema dei gesti di sfida è poi tradurli in vittoria. Maradona balla, ma se poi perde non fa una bella figura. Cassano lancia il guanto: nessuna paura di voi, tra poco mi vedrete (ci vedrete) giocare. Ma così si espone, si prende le responsabilità e pure rischi. Se sfidi, devi credere in te stesso e nei tuoi compagni. Perché anche Cassano lo sa, un uomo solo, anche un campione assoluto come lui, come Maradona, non è niente senza compagni. E i compagni, per essere squadra, devono sentire il senso di appartenenza, quello che Varela chiamava “hermanidad”. In un’azienda si direbbe coesione, condivisione. In una squadra di calcio sono sentimenti che passano attraverso la maglia. Il simbolo è la maglia che el capitan indossò nel 1950 davanti ai compagni di squadra. Che Cassano indica ai tifosi per dire che resta a Genova, che ai tifosi lancia dopo aver sfidato, e vinto, squadra e curva dei partigiani.

Paolo Giampieri (Da il Secolo XIX del 25 Ottobre 2008) 

Momenti di Gloria (Olimpiadi Pechino 2008)

E rigodiamoceli questi momenti di gloria di Pechino 2008 con il bellissimo video della Rai… Non so voi, ma ogni volta che lo rivedo mi emoziona, al pari dell’Inno di Italia.

Credo che se un tempo le grandi gesta cantate da Omero e Virgilio erano quelle degli eroi in battaglia, oggi siano anche quelle di questi atleti che, per arrivare a tali livelli, spendono una intera vita, fatta di sacrifici, allenamenti e tanta passione.

Al termine del video e di questo post un sondaggio: quale la medaglia che vi ha dato più soddisfazione/emozione? E quale invece la delusione più grande?

Complimenti ancora ai nostri ragazzi e ai colori azzurri, anche quelli che han sfiorato per poco il podio e si son dovuti accontentare della medaglia di legno o di un piazzamento “anonimo”. Il sorriso di De Cubertain certamente è con loro.

Andrea Macco

La lezione di Joker e del Cavaliere oscuro

“Se introduci un po’ di anarchia… se stravolgi l’ordine prestabilito… tutto diventa improvvisamente caos. Io sono un agente del caos. E sai qual è il bello del caos? E’ equo!” 

Così Joker, in un passaggio chiave del riuscitissimo sequel di Batman Begins: il Cavaliere Oscuro.

2 h e 30′ di film tutte da gustare, in cui per una volta non sono solo gli effetti speciali a fare da protagonisti, ma accanto ai tanti colpi di scena entra in scena una lotta tra bene e male che è tutt’altro che scontata.  Joker non è il solito criminale. Non lo si può definire un matto di mente o un serial killer alla Hannibal, ma nemmeno il solito signore oscuro assetato di potere, potere e ancora più potere. 

In Joker ho visto il volto nuovo del male di oggi, che si insinua ora in maniera sottile, ora con azioni dirompenti, nelle coscienze e nella società, portando il disordine, lo scompiglio, il caos. Il male che mette in crisi un intero sistema di valori e che nel contempo lascia che siano gli altri ad uccidersi, che semina la zizzania per raccogliere il caos… un male che si compiace del tormento che invade il cuore di chi vorrebbe un mondo migliore… E così la genesi del terzo personaggio protagonista del film,  “Due facce” (Harvey Dent), è tutt’altro che banale e scontata: è lo specchio dell’uomo così consumato dalla voglia di fare il bene che alla fine ha in se stesso – e non nel mondo – il male più grande da combattere…

Infine, avete notato? Joker è il criminale con la faccia dipinta di bianco mentre Batman è l’eroe soprannominato Cavaliere oscuro. Luci e ombre si mischiano continuamente in un film che vale 10 volte il primo della saga e che, c’è da scommetterci, farà scuola. Difficilmente sarà ripetibile.

Voto: 9.

“Tu non riesci proprio a lasciarmi eh? Ecco cosa succede quando una forza irrefrenabile incontra un oggetto inamovibile, tu non mi uccidi per un mal riposto senso di superiorità e io non ti uccido perché sei troppo divertente… credo che io e te siamo destinati a scontrarci in eterno.” (Joker)